Luca Restelli

Il ruolo del credito nelle decisioni della BCE

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A partire dal secondo semestre dello scorso anno, la Banca Centrale Europea ha avviato un profondo cambiamento della propria politica monetaria, rialzando i tassi d’interesse, dopo anni in cui questi sono rimasti prossimi allo zero e per diverso tempo raggiungendo anche livelli negativi. In seguito al primo aumento, effettuato a luglio dello scorso anno, i tassi sono gradualmente cresciuti arrivando a toccare il 3,75% con l’ultima modifica datata 10 maggio 2023.

L’obiettivo principale della restrizione della politica monetaria, secondo gli intenti della BCE, è quello di frenare la corsa dell’inflazione che, nonostante gli aumenti dei tassi perdurino ormai da 9 mesi, non accenna ancora a diminuire in modo sostanziale.

In questo contesto marcatamente incerto è essenziale valutare gli effetti macroeconomici di tali politiche. L’aumento dei tassi ha come prima conseguenza l’incremento del costo del denaro, che si traduce in una contrazione della richiesta di finanziamenti, sia da parte dei privati che delle imprese, e della stessa tendenza delle banche a concederli.

Se non si può ancora parlare di credit crunch, quel meccanismo per cui la riduzione del credito alle imprese determina il decremento dell’attività economica complessiva di un Paese, una maggiore difficoltà ad onerare i debiti e il conseguente aumento del rischio degli investimenti, la tendenza sembra abbastanza chiara.

Infatti, durante il mese di febbraio i prestiti alle imprese su base trimestrale sono scesi dell’1,1% nell’Eurozona. Il credito è calato in Germania, Italia e Spagna mentre in Francia si è assistito ad un brusco rallentamento.

I prestiti alle aziende su base annua in Italia sono scesi dello 0,5% a febbraio: in valore assoluto i finanziamenti sono calati di 29 miliardi da settembre. Altri fattori relativi alla domanda hanno fortemente influenzato la richiesta di credito: alcune aziende hanno preferito ricorrere alla liquidità accumulata durante la pandemia e vi è stata una generale restrizione delle condizioni creditizie.


Effetti ritardati?

Un altro aspetto da tenere in considerazione è il fatto che l’aumento dei tassi di interesse non ha ancora avuto un impatto pieno sull’economia dell’eurozona. La politica monetaria esplica i suoi effetti a distanza di circa 18 mesi e questo significa essenzialmente che eventuali rallentamenti nelle performance del tessuto produttivo dell’area potranno essere apprezzate solamente più avanti nel tempo. I fondamentali economici risultano quindi al momento non ancora intaccati dalla svolta restrittiva della politica monetaria.

Il principale risvolto di questo è da ricercare nella maggiore incertezza circa le aspettative future: se l’aumento dei tassi causerà in futuro un rallentamento della crescita, la riduzione degli investimenti da parte delle imprese potrebbe avvenire temporalmente prima di quanto previsto, causando un calo della fiducia degli investitori nei confronti delle imprese stesse.

Ciò significa che ad andare in sofferenza sarebbero i titoli di quelle società più sensibili alla disponibilità di finanziamenti esterni, come quelli provenienti dal settore bancario, con un più alto grado di indebitamento, liquidità ridotte e con una struttura finanziaria più rischiosa e meno conservativa.

Da qui la necessità di diversificare attentamente il rischio del proprio portafoglio sulla base di un’analisi preventiva dei principali indicatori patrimoniali e finanziari, in modo da evitare la sovraesposizione a titoli di aziende che potrebbero produrre performance insoddisfacenti nel medio periodo.

In tale scenario incide anche la scadenza del rifinanziamento Tltro, lanciato nel 2014 e destinato agli istituti di credito. Entro l’anno, le banche che hanno ricevuto tali finanziamenti dovranno restituire alla Bce 477 miliardi di liquidità, fattore questo che andrà pesantemente ad influenzare le politiche relative alla gestione del credito e dei finanziamenti.

Gli istituti si affideranno inizialmente ad altre fonti di raccolta: attraverso la clientela, i mercati e, se necessario, anche vendendo attività (per esempio titoli di Stato). Non si può escludere però che, terminati i prestiti di favore da parte della Bce, le banche diventino più selettive con i clienti finali, causando un’ulteriore restrizione nell’accesso al credito per le imprese che diventeranno sempre più dipendenti da fonti di finanziamento alternative.

Conclusione

L’ultimo rialzo da parte della BCE si è ridotto a soli 25 punti basi, portando i tassi dal 3,50% di marzo al 3,75% del 10 maggio. Inoltre, il vice direttore della BCE, Luis de Guindos, ha recentemente definito “in fase conclusiva” l’aumento dei tassi d’interesse ponendo anche l’accento sul fatto che, ad oggi, la politica restrittiva non abbia innalzato in misura significativa il livello dei cosiddetti NPL.

Nonostante ciò, rimane fondamentale valutare se la stretta creditizia, visibile ora solamente a livello di volumi, porterà ad un calo consistente dei consumi e degli investimenti. Se questo dovesse accadere, anche il PIL potrebbe frenare più delle attese, anticipando una possibile fase di recessione o di calo delle aspettative degli investitori circa gli utili futuri. Analisi più precise potranno essere effettuate una volta elaborati i prossimi dati sull’andamento dei prestiti, che dovrebbero ricoprire il ruolo di guida per gli investitori in un contesto estremamente incerto e in continua evoluzione.

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